martedì

Soletta

Triste e inconcludente si muoveva per le stanze vuote. Nessuno poteva sentirla, nessuno riusciva a vederla. Lo sapeva. Anche una sola presenza umana avrebbe potuto alleviare il suo umore.
A rilento pensava, svogliatamente faceva, come se ogni cosa non avesse importanza. Come se un semplice giorno avesse potuto spazzare via la sua serenità, quell’allegria che aveva caratterizzato le ultime settimane.
Gliel’avevano detto: “Sei triste vero?” E lei aveva negato. Non lo era veramente. Ma allora cos’era stato, un brutto presagio, o un commento di chi sapeva vederle dentro?
Ed ora era qui a fare i conti con quella stessa solitudine di un tempo. Come se nessun cambiamento fosse avvenuto, nessuna maturazione, crescita, come se non avesse ancora imparato a stare al mondo.
Da sola.
Tutti potevano invidiarla. Un’intera casa tutta per lei, non aveva catene, sarebbe potuta uscire, se solo l’avesse voluto, se avesse voluto voglia di farsi due passi. Eppure stentava, restava chiusa e protetta, come se quel luogo potesse proteggerla, potesse farla sentire in quella casa a cui oramai si era di nuovo abituata.
Ma lei se ne fregava degli altri. Aveva imparato a stare da sola, ma odiava le intere giornate. Lei non era una solitaria e non lo sarebbe mai stata. Necessitava di qualche ora tutta per sé ogni tanto, ma qualche ora era sufficiente. In compenso odiava mangiare da sola, le aveva sempre dato i nervi, odiava non poter parlare con nessuno, non fare una pausa caffè in compagnia.

Non era pazza, non era eternamente triste. Probabilmente era solo uno dei suoi momenti, che sarebbe svanito tra poco. Anche lo sconforto può essere un modo di prendere coscienza di sé.

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