mercoledì

La rivoluzione

E' arrivata senza bussare la mia rivoluzione. Ero lì che cercavo solo di capire, di capirmi, che era più un ritrovarsi in una nebbia fitta di pensieri, progetti, calcoli pindarici, dove i sogni, gli obiettivi erano perlopiù persi; quando ad un tratto tutto cambia.
Perché c'è un momento in cui le decisioni divengono un'urgenza, un richiamo che viene da dentro. Quando si dice che si sente quando è il momento. E così è stato.



martedì

IV

Bionda, bassa, riccia.

La donna Onyx che alla tenera età di 42 anni sgambetta rumorosamente per i corridoi del suo ufficio. Un ufficio in cui la fa da padrona, in cui il solo rumore dei suoi passi provoca timore e incertezza. Più si fa arrabbiata e rumorosa e più da credito di sé, soprattutto a sé stessa e il suo vacillante ego.

Arriva sui suoi trampoli, appoggia la borsa, cerca qualche cosa che non vada sulla sua scrivania e mi chiede un caffè. Il primo che le faccio nella giornata: prendo la cialda e il bicchiere, li posiziono, prendo la bustina e la sbatto, controllo l’altezza del caffè, che deve essere alto un dito, non di più e non di meno, giro il caffè e glielo porto in fretta. Questo sarà il primo di una lunga serie.

Di lì la giornata inizia, qualunque parola lei proferirà potrà essere un qualcosa che ha il potere di mettere in fallo qualcuno. Tutti hanno qualcosa di autonomo da fare, operazioni da eseguire (a parte me, che cerco di dare un senso alla mia giornata incastrando i ritmi dei beceri compiti che mi sono affidati – archivio fogli, stampa fogli, fotocopia fogli, timbrare pass), tuttavia un orecchio deve essere sempre vigile ed attento alla voce di Iv, ogni sua richiesta può essere un fulmine a ciel sereno: una mail del mese prima, quello che tre giorni prima aveva detto con Ciccio Pasticcio (vai ad identificare chi sarà questa volta), lo specchietto delle economie di due anni prima, archiviato dalla dipendente che ti precede di due turni –ovvero che nel frattempo hanno fatto in tempo a licenziarsi 2 persone da lei a quando sei arrivata tu. Qualunque cosa le porterai dovrà essere letta almeno 2 o 3 volte, perché potrebbe trovare un cavillo, un qualsiasi dettaglio che metta in mostra la tua inefficienza.

Ogni qual volta le chiamerai qualcuno al telefono, questa sarà una questione di vita o di morte, e dal momento che da questa telefonata ne dipende una vita umana (ovviamente in senso ironico) dovrai innanzitutto digitare rigorosamente il numero di cellulare, chiamare a ripetizione, fare presente che è una cosa urgente perché è Iv che lo cerca, nel caso capire se lei eventualmente potrebbe voler parlare con qualcun altro, oppure non è proprio il caso (questo non so da cosa può essere deducibile, forse l’inflessione della voce, l’argomento di discussione – di cui magari non sai nulla, ma sbagli per il solo fatto di non sapere).

Iv è talmente indaffarata dall’azienda che da sola sta mandando avanti e dall’uomo che negli ultimi mesi abita il suo letto, per potersi ricordare le sue faccende personali. Oltre alla sua nota spese, una buona assistente personale deve conservarle ordinatamente ogni documento personale, multe, tasse da pagare, assicurazioni, corsi di lingua che sta seguendo e scadenze di pagamenti vari. Se non riesci a stare dietro a queste cose, significa che non vuoi crescere e come puoi pensare di arrivare più in alto nella vita (lei ammette di non sapere come tu sia al di fuori di quella stanza, ma il gusto di dirti che non vali nulla se lo prende lo stesso).

Tutte le persone per Iv possono passare dall’essere “mio amor” a dei pezzenti da mandare a fanculo una volta che si è abbassata la cornetta, che si è valicata un’altra stanza. Iv può parlare di te, far riferimento a te o al tuo operato non direttamente, lo fa in terza persona, parlando ad un altro o tra sé e sé, perché parlare direttamente a te sarebbe troppo faticoso e soprattutto ti darebbe la possibilità di ribattere. Infatti Iv preferisce evitare gli scontri diretti, che non le permettono di mettere in mostra le sue doti fino in fondo. In quel caso le ultime carte che può giocare sono solo falsità ed ipocrisia.

Sedersi davanti a Iv e guardarla negli occhi può, infatti, mostrare cosa ci sia dietro. Ovvero una donna sola, impaurita dall’avanzare del tempo, che ha sacrificato la famiglia, i sogni, gli affetti, per inseguire la carriera.

A quel punto solo la pietà e la voglia di andare hanno il sopravvento.

lunedì

Si chiude una porta

Che strano.

La vita è contraddistinta da esperienze, parentesi più o meno lunghe, che lasciano un segno, più o meno profondo, più o meno evidente. Condividi intere giornate, ambienti, parole e momenti con persone che poi non vedrai più tutti i giorni, non sentirai forse più. Resto sempre con una certa amarezza, nonostante sia spinta dalla voglia di conoscere gente, di socializzare, dall’altra ho una pulsione a mantenere la mia cerchia definita e vicina. Non sopporto che dei bei rapporti, istanti di sincera condivisione scompaiano col semplice chiudersi di una porta

Ad ogni modo, come dicevo, anche questa è andata, è scivolata via.

Prima che la nebbia di questo novembre copra ogni mia impressione, ogni sensazione, ogni ricordo, vorrei qui fermare l’amarezza, l’apatia e la frustazione. Come per lasciare un segnale sensoriale di quattro mesi di vita, la mia vita in un’altra, fra le tante, parentesi.

Ancora non so nulla del mondo del lavoro, della musica, degli eventi. Mi sono soltanto affacciata dalla porta di servizio, rovistato tra gli archivi e i documenti da fotocopiare. Tuttavia credo che anche scaldare una sedia possa far provare delle emozioni, da cogliere, rielaborare ed utilizzare come input e moniti per ciò che verrà.

Temo che il mondo della musica tenda a contaminarsi, sporcarsi e perdere cuore, mano a mano che si fa importante e di rilievo. Il mercato, il pubblico, i soldi tendono, come in tanti altri settori della società – se non tutti, a legiferare e stabilire le regole. Non che io ne faccia parte, non che io ne sappia tanto, non che io faccia musica, ma se dovrò avere a che fare con tutto ciò spero e voglio che lo sia in contesti più piccoli, più miei, più sentiti, più voluti, più di cuore.

Trovo che le donne possano tanto, come e più degli uomini se lo vogliono, dalla loro hanno in più la civetteria, la possibilità di giocare col loro essere donne (non solo nei punti forti, ma anche in quelli di debolezza). Tuttavia credo che se una donna vuole arrivare tanto in alto deve sacrificare qualcosa. Questi sacrifici hanno fatto si che si formasse una persona come IV.

Iv non vuole brave collaboratrici, Iv non vuole persone che restino con lei per sempre. Iv vuole soffrire, essere sola, essere vittima. Il suo continuo mortificare le persone che ogni giorno cercano di raggiungere una perfezione che non è oggettiva, ma puramente vincolata dalla sua percezione di perfezione, non è altro che uno strumento che lei utilizza per affermare la sua superiorità, per sentirsi meno insicura, per sentirsi potente e migliore.

Resistere è bene: le ossa si induriscono e la schiena impara a stare più dritta. Ma sopportare fa sì che l’animo a poco a poco si appesantisca, che le accuse diventino consapevolezze, che le consapevolezze costituiscano il modo di essere.

Essere accusata ripetutamente di essere sbagliata nelle più becere cose, quali un indirizzo mail letto in fretta, un foglio archiviato non come si doveva, una luce non accesa o l’aria condizionata troppo bassa, le penne non perfettamente allineate; ed ancora, essere ripresa per un modo di parlare al telefono troppo cortese e lento e non abbaiato come meglio si addice alla persona per cui si sta chiamando, lo schioccare delle dita per un caffè, le imitazioni della corsa che dovresti fare per essere una brava assistente, essere accusata di balbettare e mentire. Purtroppo le “gag”, così mi piace chiamarle, erano tante e molte di più, forse la mia mente per tutelarmi ha deciso di resettare i particolari. Io non odio, non porto rancore, purtroppo commisero e provo pena per esseri di tale portata. Sono dispiaciuta per quelle ragazze che ho lasciato tra quelle mura che avevano più da perdere che i miei 200 euro.

Ho voglia di lavorare, di darmi da fare, di sgobbare, di guadagnare (ma non tanto, quel che basta), di fare una cosa in cui credo, per cui ho studiato, in cui ho investito. Questa è utopia? Fantasia? Uno stupido sogno di una neo laureata disoccupata?