giovedì

Confessioni all'alba


All'alba ci vediamo distesi su basso futon blu.
Intrecciati.
La luce del sole che sale illumina il mio volto di piacere.

Un giorno vorrei che congelassi in uno scatto la felicità di un momento.
Non vorrei che me lo insegnassi. Vorrei solo lo cogliessi, come tu sai fare.

Come una collezionista di momenti vorrei conservare questi magici istanti di leggerezza, di piacere.
In una vita di malinconia e bronci assetati e insoddisfatti.


Una città ha un'altra vita, alle sette di sera, in un parco.
Una giornata è rivalutabile con la luce del tramonto, all'uscita dal lavoro.

In direzione casa, sulla sua bicicletta sgarruppata.
Fuori dal loculo la giornata non è ancora finita.
In mezzo al parco c'è odore di primavera.

Subito dopo il grande prato in discesa c'è un piccolo viottolino a destra.
Sulla sinistra, ad un certo punto, comincia una salita.
Sul colle, una panchina.

Lui è lì ad aspettarla.
Una birra per lei ed una per sé.

Si siede al suo fianco, silenziosa.
Resta zitta, ancora un po'. Le piace farlo, passando in rassegna i vari pensieri.
In questi giorni nessuno le sembra all'altezza di essere raccontato.
Resta bloccata, impenetrabile, conserva la luce, che un giorno, forse, tirerà fuori.

Lui la guarda. Il suo sguardo sembra voler scoprire, sembra voler vedere dentro.
Lei si chiede cosa stia vedendo, cosa lo faccia sorridere.
Ma non chiede. Preferisce non saperlo. Restare nell'inconsapevolezza di sé, di lui, del noi.

Le parentesi insieme, le risate e i racconti, sono boccate d'aria, in un periodo in cui la sicurezza della direzione sembra più flebile.

Restano in quella parentesi di mondo ancora un po'.
Poi ognuno per la sua strada.
Indipendenti e senza impegno.
In attesa di quando, di nuovo - il piacere - tornerà a farle visita.

lunedì

Mi sto liberando di te



Te ne andrai dalla mia mente.
Sparirai come una nebbia che si dirada.

Non sarai più un'illusione fiabesca,
incontri nella musica condivisa in cartelle mentali,
fumose bevute dal retrogusto luppolato,
inaspettati incontri negli angoli delle strade.

Non alzerò più gli occhi per cercarti.
Non ti vedrò passare. Non ti vedrò.

Non ti cercherò in messaggi in bottiglia,
che tu lascerai scorrere al tuo fianco.
Non ti permetterò di rimandare più nulla,
perchè non ci sarà nulla da posticipare.
Non spererò più che tu sappia usare il pungiglione dell'intraprendenza,
non crederò né che tu abbia interessi evasivi,
né che mi voglia solo stringere la mano.

Non lo farò più.
A partire da ora.
Per i secoli dei secoli.

Biba


Cochi cochi coooo. Cochi cochi.
Cochi cochi coooo. Cochi cochi.
Cochi cochi coooo. Cochi cochi.
Cochi cochi coooo. Cochi cochi.

La tua voce mi riecheggia inconfondibile nelle mie orecchie.
Te ne sono rimaste poche di galline. E la mamma dice anche che non vada bene mangiare le loro uova.

Continui a chiamarle quelle galline. Chiusa in quella gabbia che è la tua malattia.
La stanza è assolata. Dall'ampia finestra entra la luce. Tu la guardi, ma chissà che ci vedi.
Ti dico che fuori è una bella giornata, seppur faccia freddo.
Ma tu sei indaffarata, non hai tempo per starmi a sentire.
- Ma che fai? Aiutami, che i bambini devono mangiare - mi dici.
Io ti assecondo. Mi da troppo dispiacere farti accorgere che quei tempi sono passati. Che oggi le nostre giornate sono di corsa e i tuoi bambini sono cresciuti, che non sono più nell'aia a correre, come tu li vedi.
Non lo chiami più Enno. Una parte di te sa che non è più lì ad ascoltare. A vederti non riconoscerlo. A scuotere la testa dal dispiacere. Ti aspetta altrove. No, non è andato nel fiume e nemmeno al bar, non è nel campo.
Ti chiamo. Ti saluto. Ti dico che ti voglio bene. Non te l'avevo mai detto.
Tu sembri trasalire - Anche io biba - mi dici.

Guardo quella stanza.
La luce continua ad entrare, ma tu non ci sei.
Quella vita, spesso tanto difficile, che abitava queste mura, se n'è andata.
Non sarete più a questa tavola.
Non sarete più sui gradini dell'ingresso e neppure sotto il grande albero in cortile.

Ma finalmente sarete liberi. E tutti e tre insieme.